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Sao ko

Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti― Capua, marzo 960 d.C.

SAO KO

Un viaggio al buio nei classici della poesia italiana

Progetto e regia di Francesco Burroni

Con Francesco Burroni e Francesca Pierini

In collaborazione con la sez. di Siena Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti

“Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti“. Siamo nel marzo del 960 e questa testimonianza, resa davanti ad un tribunale di Capua e trascritta in volgare, è il primo documento ufficiale della nascente lingua italiana. Inizia da qui un viaggio nei classici della poesia italiana che a scuola abbiamo studiato…e forse a volte anche un po’ odiato, non per colpa dei poeti ma magari di qualche professore che ci ha obbligato a mandare a memoria il testo o ad analizzare scrupolosamente il contenuto facendoci perdere spesso il gusto della poesia vera e propria.

Lo spettacolo nasce invece con il dichiarato intento di far rinnamorare il lettore della poesia e in particolare della poesia formale, di quella cioè che, prima dell’avvento del verso libero, ha utilizzato leggi e strutture più rigide e complesse fatte di schemi, metrica, regole ecc… Oggi qualcuno potrebbe pensare che il verso libero consenta maggiormente al poeta di esprimere la sua anima più profonda e irrazionale, e che le regole formali siano ormai solo un pesante e obsoleto retaggio del passato dal quale ci si è finalmente liberati. Lo spettacolo vuol invece far intravedere un’altra prospettiva e un’altra chiave di lettura (e di ascolto) sviluppando l’idea che il poeta, utilizzando gli strumenti della metrica, proponga, oltre al contenuto manifesto, anche una più sotterranea e nascosta musicalità che scorre parallelamente al testo vero e proprio.

Sao ko, che nasce in collaborazione con la sezione di Siena dell’Unione italiana Ciechi e Ipovedenti, vuole mettere in risalto soprattutto il valore ritmico e sonoro della poesia, il suo aspetto musicale prima di quello concettuale e contenutistico. Per questo si è scelto di eliminare del tutto la parte visiva e di rappresentare lo spettacolo al buio (o nella penombra, con la possibilità di distribuire mascherine per il pubblico vedente) per concentrarsi solo sul suono che scaturisce dal corpo degli attori, che sono sempre in movimento, suono che si sposta continuamente nello spazio, e che a volte è accompagnato da vari strumenti musicali (flauto dolce, violino, chitarra, armonica a bocca), divenendo a volte esso stesso canto e musica. Tutti gli effetti sopra citati si perderebbero utilizzando un palco tradizionale o un qualsiasi tipo di amplificazione, per cui lo spettacolo viene proposto in spazi a pianta centrale con il pubblico distribuito in un’unica fila, in cerchio o su quattro lati. Si consiglia un massimo di 40 persone per rappresentazione, per non perdere lo stretto contatto con gli attori.

Ci preme sottolineare come il termine “diversamente abili” sia particolarmente idoneo in questo caso a rappresentare una diversa potenzialità e capacità che hanno i ciechi e che consiste nel percepire con maggiore intensità la musicalità e gli elementi strutturali della poesia formale (il suono e il ritmo) così da poter parlare di un’accresciuta sensibilità verso le forme poetiche che, durante lo spettacolo, potranno comunque sperimentare anche gli spettatori vedenti.

 

 

SCHEDA TECNICA

Lo spettacolo si effettua a pianta circolare con il pubblico disposto attorno.

La rappresentazione avviene al buio.

Non viene utilizzata amplificazione e quindi è indispensabile uno spazio con una buona acustica.